Dal 1940, Masseria Rifisa fu adibita a fabbrica di tabacchi. Una coltura che, nel Salento dei primi anni del secolo XX°, fu la coltivazione agricola principale che impegnava un intero anno di lavoro.
Quella salentina è una terra ricca di cultura e tradizioni intramontabili. La storia del tabacco e delle tabacchine nel Salento è, sicuramente, una pietra miliare che ricostruisce le vicissitudini di un popolo con una ben definita identità. Essendo caratterizzato da terreni sconfinati e da un clima favorevole, il Salento si prestava particolarmente alla coltivazione del tabacco. Infatti, già nel 1812, con l’insediamento del Regno di Napoli, venne istituita la prima “Manifattura Tabacchi del Salento Leccese”. Qui si lavoravano fino a 12 mila quintali di foglie di tabacco, derivanti dalla produzione di circa 24 Comuni salentini.
La Terra d’Arneo è patrimonio indiscusso del tabacco che ne ha fatto la sua culla. L’estate era la stagione in cui si potevano ammirare, distese lungo le pareti esterne delle case, delle strutture in forma rettangolare su quattro assi di legno, i cosiddetti telai del tabacco. All’interno vi erano le foglie di tabacco, adagiate per l’essiccazione al sole. Nell’aria, così, si diffondeva quel profumo caratteristico che inebriava tutte le zone limitrofe.
Una tradizione, quella della coltivazione del tabacco, che ha rappresentato una delle principali risorse economiche delle famiglie salentine dell’epoca. Infatti, la storia del tabacco e delle tabacchine, assidue e dure lavoratrici delle piantagioni, vede il suo culmine fino ai primi anni del ‘900, dove interi nuclei famigliari si impegnavano a lavorare da aprile a novembre. Ancora oggi si ricorda la figura delle tabacchine come simbolo della donna dedita al lavoro e della rivolta proletaria femminile del 1900.
Dalla semina alla raccolta, fino all’infilatura delle foglie
Il ciclo di coltivazione del tabacco ad opera delle tabacchine nel Salento iniziava con il processo di semina del tabacco. La semina richiedeva mani esperte e avveniva nelle cosiddette “ruddhre”, ovvero una porzione di terreno adibita alla coltivazione. Questo rettangolo di terra veniva lavorata per essere appianata, con il rastrello, al cui interno si depositava una distesa di “rumatu”, ovvero il letame animale utilizzato come concime organico. Successivamente si gettavano i semi di tabacco, miscelati con la cenere, sulla terra per poi essere annaffiati. Una volta pronte per la coltivazione del tabacco, si estirpavano dalla radice e poi raccolte nelle “cascette”, piccole casse in legno, coperte da un telo juta e poi trapiantate su un nuovo suolo.
La raccolta avveniva alle prime luci dell’alba: un lavoro che coinvolgeva famiglie intere, persino i bambini. In particolare, si effettuavano dai 4 ai 5 cicli per la raccolta delle foglie di tabacco, in modo da pulire perfettamente tutta la pianta. Il tutto, all’incirca, in una settimana.
Una volta raccolte e arrivati a casa ci si disponeva seduti in cerchio ed iniziava la fase fondamentale dell’infilatura, o come si suole dire in dialetto: la “’nfilatura”. Questo processo consisteva nell’infilare le foglie lungo un grosso ago di acciaio (la “cuceddhra”) e nella cruna si passava poi lo spago. Una volta che si riempivano tutti i fili con le foglie di tabacco, venivano appesi ai telai e finalmente poteva iniziare la fase di essiccazione al sole. Il telai prende il nome di “tiralettu” e, una volta tramontato il sole, venivano entrati in casa.
Il tabacco, una volta pronto, si consegnava alla “Manifattura te lu tabbaccu” in casse di legno coperte da teli in juta.
Il duro lavoro delle tabacchine
Il ruolo delle tabacchine è centrale in tutti i processi di coltivazione del tabacco. Delle lavoratrici stacanoviste che si dedicavano completamente al loro lavoro, inneggiando un canto che per quasi un secolo descrisse e caricò di suggestioni il loro lavoro.
Fimmene fimmene ca sciati allu tabaccu
Donne donne che andate al tabacco
ne sciati doi e ne turnati quattru.
andate in due e tornate in quattro.
Ci bu la dici cu faciti lu tabaccu
Chi vi dice di piantare il tabacco
la ditta nu bu dae li tilaretti.
la ditta non vi dà neanche i telaietti.
Ca poi li sordi bu li benedicu
Che poi i soldi ve li benedico
bu nne ccattati nuci de Natale.
vi comprate le noci a Natale.
Te dicu sempre cu nu chianti lu tabaccu
Ti dico sempre di non piantare il tabacco
lu sule è forte e te lu sicca tuttu.
il sole è forte e lo secca tutto.
Fimmene fimmene ca sciati alle ulìe
Donne donne che andate alle olive
cugghitene le fitte e le cigghiare.
raccogliete sia quelle interne che esterne alla rete.
Fimmene fimmene ca sciati a vindimmare
Donne donne che andate a vendemmiare
e sutta lu cippune bu la faciti fare.
sotto la vigna ve la fate fare.
Fimmene fimmene ca sciati allu tabaccu
Donne donne che andate al tabacco
ne sciati doi e ne turnati quattru.
andate in due e tornate in quattro.
Ci bu la dici cu faciti lu tabaccu
Chi vi dice di piantare il tabacco
la ditta nu bu dae li tilaretti.
la ditta non vi dà neanche i telaietti.
Ca poi li sordi bu li benedicu
Che poi i soldi ve li benedico
bu nne ccattati nuci de Natale.
vi comprate le noci a Natale.
Te dicu sempre cu nu chianti lu tabaccu
Ti dico sempre di non piantare il tabacco
lu sule è forte e te lu sicca tuttu.
il sole è forte e lo secca tutto.
Fimmene fimmene ca sciati alle ulìe
Donne donne che andate alle olive
cugghitene le fitte e le cigghiare.
raccogliete sia quelle interne che esterne alla rete.
Fimmene fimmene ca sciati a vindimmare
Donne donne che andate a vendemmiare
e sutta lu cippune bu la faciti fare.
sotto la vigna ve la fate fare.
Le tabacchine iniziavano, solitamente, il loro compito verso la fine del mese di novembre quando le foglie di tabacco erano ormai secche. Si occupavano della loro cernita, dividendole all’interno di particolari casse in legno per colore e in base alle qualità, buttando le “rumasuje”.
Le foglie di tabacco venivano messe insieme e divise in piccoli mazzetti per poi essere pressate, mentre le altre tabacchine formavano le cosiddette “ballette”, sistemate secondo il peso e il tipo della qualità del tabacco. Una volta terminata questa fase si passava alla pressatura, dopo di che le foglie venivano messe in una stufa a legna per far maturare il tabacco con il calore.
Vi era un’operaia che supervisionava tutte queste operazioni, ovvero “la mescia” per controllare ch non ci fossero intoppi e imperfezioni nei processi di lavorazione. Le ballette venivano messe in una stanza a contatto con lo zolfo, per evitare la corrosione e dopo qualche giorno posizionate nel deposito per un’altra ispezione da parte della mescia. Le foglie di tabacco ottenute si sbriciolavano per creare sigarette e, il tabacco ottenuto, veniva condotto nelle fabbriche del Monopolio al fine di valutare il gusto e il sapore.